Silenzio per favore. Stanno calcando il palcoscenico tre sacerdotesse d’un rito ineluttabile. Mogli, madri e figlie s’ergono a protagoniste di Donne di Mafia, la pièce teatrale del poeta calatino Angelo Mancuso. Femmine combattive ma dilaniate da conflitti interiori, mamme coraggiose ma straziate dal dolore. Picciotte di Sicania sono: non fanno domande epperò son capaci di amori viscerali. Vero è che di tanto in tanto mostrano i denti ma figure drammatiche rimangono: soffrono e tengono fede al codice d’onore. La prima è Agata. Ella abbandona il suo rampollo che, colto da crisi di coscienza, vuol collaborare con la giustizia. Ecco poi za’ Carme’, tanto apprensiva per la figliola Graziella da tenerla sotto una campana di vetro. Per ultima c’è una signora a cui hanno appena assassinato marito e figlio. È sola e disperata e il suo nome è Rosalia.
«Questo lavoro – attacca Nellina Lagana che la interpreta – narra in chiave poetica il dolore. Non è uno spettacolo facile ma di grande impegno professionale, perché tocca corde emotive particolari tentando di smuovere le coscienze. Le tre donne fanno parte dell’identità culturale della mafia e sono inserite nel contesto criminale: in alcuni casi subiscono e in altre comandano. Il soggetto è attuale perché descrive la mentalità che arriva addirittura a legittimare la mafia.» «Io -prosegue Marcella Marino- sono la zia Carmela, la moglie d’un capo in carcere che prende le redini della cosca. Una donna che possiede un’ambivalenza caratteriale: autoritaria coi picciotti di turno, protettrice con la figlia dagli affari sporchi di famiglia. Una madre che comanda col potere atavico tipico della ‘famiglia’. Il marito non c’è e za’ Carme’ lo sostituisce; benché lo stereotipo mafioso è maschile, la donna non è vittima ma carnefice.»
«La donna – chiude il regista Gianni Scuto – è più spietata e possiede una raffinatezza maggiore essendo più intelligente. Ho preferito dare spazio al contesto poetico lasciando intatti dolore e drammaticità provate dalle protagoniste sulla scena. Nel primo atto ci avviciniamo alla tragedia greca, invece il secondo è strettamente legato al testo fin ad arrivare all’ultimo momento in cui protagonista è la parola. Ogni attimo dello spettacolo non è mai uguale con un ritmo intenso che lascia spazio a emozioni e sentimenti».
Incentrato sul pentimento e impregnato d’elementi catartici Donne di Mafia riproduce un doloroso percorso verso un riscatto finale. In virtù d’un forte approdo umano, il testo mostra profonde ambivalenze e fa risaltare con occhi femminili l’imperativo esistenziale della ‘famiglia’.
La messinscena è realistica: un universo basato su paradigmi d’estrema ferocia e regolato dall’orribile cronaca criminale. Storie vere ispirate a fatti realmente accaduti ma senza riferimenti specifici. Temi che possiedono un senso di continuità ed esiti diversi, ma pur sempre funesti. Sobria ma intrigante è la scenografia, riuscite le musiche che ben s’intrecciano alla tradizione di Trinacria.
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